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il fallimento e la deriva umana

 

Il poeta parla con i suoi versi. Ad altri ed in altri il compiersi e l’estrinsecarsi dell’esperienza ermeneutica che questi suscitano. Oltre la parola poetica esiste solo il silenzio ineffabile, come aveva ben capito Wittgenstein.
È quindi con estremo pudore e malcelata riluttanza che tento di accennare in poche righe alla Weltanschauung, alla visione sottesa alle opere, che con timore e tremore, manifesto in questo sito.
Mai come oggi l’uomo si scopre nudo e fallito di fronte a se stesso, ai suoi simili e alla realtà cosmica, dove si trova gettato da un fato indecifrabile.
L’eros, nella sua accezione platonica, trova la sua ineredibile e tragica conclusione nell’esperienza del fallimento totale.
Fallimento che è sì denotato dall’intrinseco limite comunicativo biologico e psicologico inerente l’umano, pur tuttavia è fallimento prima esistenziale e quindi ontologico.
Nella consapevolezza che la finitudine non è mascherabile o superabile tramite alcun artificio comunicativo o pseudo-religioso, grido incessantemente che non solo la vita è disperatamente unita alla morte, ma che la stessa morte è il fine della vita. Questi strali vogliono essere una contestazione globale nei confronti di certa cultura contemporanea, della sua tracotante certezza di poter guidare la storia e il destino umano verso un futuro di paradisiaca fosforescenza tecnocratica.

No. La storia non la facciamo noi (da soli). L’universo non si è fatto né continua a farsi da sé. Noi siamo immersi in un vortice di polvere e, pur essendo animali erotici prima che animali razionali, non possiamo né amare né conoscere alcunché non si tramuti alla fine in vuoto, non torni al nulla da cui è sorto in modo imperscrutabile. Questa radicale esperienza nichilista è l’immediata falsificazione di ogni alterigia scientista, neopositivista o neorelativistica, che sembra imperare nella nostra cultura antropocratica pantecnologica.
D’altro canto il dichiarato pensiero debole, assunto che si contraddice proprio nella fortezza della sua assiomatica incompletezza, rivela che il cosiddetto nichilismo contemporaneo cela in realtà una sotterranea volontà di potenza, volontà di autonoma distruzione e ricreazione dal nulla, al fine d’imporre un senso a misura dell’uomo situazionale, speculare alla propria mutevolezza, dettato dalla necessaria fatalità del carpe diem. Il vicolo cieco del sofismo (oggi ridefinito col termine relativismo) si ripropone ora nel suo più titanico e universale coinvolgimento.
Questo nichilismo è quanto intendo esperienzialmente confutare. Il Nulla è altro. Il Nulla è l’universo intero, così come viene vissuto e sperimentato giorno per giorno dall’uomo, il quale non ne risulta affatto il centro, per quanto debole, bensì inconsistente ed estrema periferia. Il mito di Sisifo elaborato da Albert Camus è emblematico del nostro disperante statuto esistenziale.
Proprio l’esperienza pelle a pelle del nulla e la coscienza dell’inconoscibilità semantica dell’essere, anzi lo scoprire che l’heideggeriano dasein, l’esserci con, è in realtà un esserci con nessuno, mi portano a maledire la vita e i suoi assurdi inganni, ma al contempo, istintivamente, a cercare con tutte le forze un approdo al naufragare dell’anima dilaniata da una struggente sete di luce e di amore assoluto. Infatti come l’ombra è nulla, ma non sarebbe nemmeno quello se non fosse assenza del tutto che profila in esterno a sé, così questa insaziabile sete di amore, di luce, di verità, di giustizia è la testimonianza che oltre il buio può esistere qualcosa o Qualcuno cui tendere, pur nei rantoli della miseria e dell’abbandono.
Il tormento di vivere allora si apre al Mistero. Il Nulla diviene maieutico al Mistero, ad una Presenza-Assenza che tesse la trama della storia a nostra insaputa e ci fa sì naufragare, ma al solo scopo di farci approdare sull’isola che prima non c’era ed ora appare all’improvviso, dove finalmente ci è dato di aprire gli occhi su di un cielo decifrato: l’isola della rivelazione ultima, della rivelazione apocalittica, del senso finale della storia di ciascuno di noi e del cosmo.

Nasce da qui lo stupore dell’ignoto, dell’armonia totale che forse abita in dimensioni nascoste ai sensi e perfino al più sublime amore erotico. Non l’oltreuomo di nietzchiana memoria, ma il più umano che si muta in divino, essere evocato da Qualcuno che il Nulla proietta nell’anima e lo ritaglia nella nostra apparentemente assurda quotidianità. Questo testi che propongo vogliono testimoniare appunto che noi da soli non possiamo giungere ad alcun porto sicuro se non veniamo illuminati e guidati da un Altro che  inaspettatamente ci si fa compagno di viaggio e trasforma il mal di vivere in un rifiorito deserto ove scoprire i segni, i preludi di un’apocalittica palingenesi personale e cosmica.

Francesco Sartori